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L'e-ID è un ulteriore passo avanti nella digitalizzazione globale, che invia miliardi di nostri dati alla Silicon Valley. Tuttavia, stiamo lentamente rendendoci conto che la vita, la natura, noi stessi: tutto è analogico.

«Un no ora può servire ad ottenere un’Id-e davvero facoltativa»

Corriere del ticino intervista Maria Pia Ambrosetti

Nel 2021 l’Id-e è stata nettamente respinta poiché era emessa da privati. Si tratta di un’opposizione di principio, ora che la gestione è pubblica come auspicato?
Il NO è un campanello d’allarme. Nel 2021 molti hanno respinto la proposta non per principio, ma per la paura concreta di perdere libertà e di subire un controllo sempre maggiore: in piena pandemia, l’idea di un’identità digitale è suonata come un rischio di profilazione, tracciamento e dipendenza tecnologica. Non a caso, il novembre scorso a Neuchâtel la popolazione ha votato al 91,5% per inserire nella Costituzione il diritto all’integrità digitale e alla vita offline, un messaggio chiarissimo: sì al digitale, ma alle condizioni dei cittadini, non delle piattaforme.

Oggi chi sostiene la nuova Id-e spesso riduce il dibattito a “pubblico vs privato”, ma le preoccupazioni vanno oltre: volontarietà reale (niente “obbligo di fatto” per accedere a servizi essenziali), minimizzazione dei dati, interoperabilità senza centralizzare tutto, anonimato e garanzia di canali analogici per chi non vuole o non può usare strumenti digitali. Il popolo svizzero non rifiuta l’innovazione tout court: rifiuta l’innovazione che limita la libertà. Non vuole un modello alla cinese, basato sulla sorveglianza e il conseguente credito sociale, ma un’identità digitale sobria, proporzionata e reversibile, che serva le persone, non il contrario.

Il progetto in votazione prevede che i dati vengano memorizzati in modo decentralizzato sullo smartphone per evitare di “profilare” i comportamenti di una persona. Perché non sono sufficienti tali garanzie?
Salvare i dati dell’Id-e sul telefono aiuta, ma non basta. Ogni uso lascia tracce presso chi verifica (chi, quando, per cosa) e la connessione produce metadati che collegano accessi diversi. Se si riusa lo stesso identificatore, i servizi possono unire i puntini; inoltre, con i backup o i cambi di telefono copie di dati finiscono anche nel cloud. Per stare davvero tranquilli servono regole semplici e chiare: chiedere solo lo stretto necessario (es. “sei maggiorenne?” senza data di nascita), usare un codice diverso per ogni servizio, evitare controlli in tempo reale, vietare archivi inutili e prevedere verifiche indipendenti. E, soprattutto, occorre mantenere sempre valide le alternative analogiche (sportelli, moduli su carta), altrimenti l’Id-e rischia di trasformarsi in uno strumento coercitivo.

Affinché l’utilizzo dell’Id-e diventi obbligatorio, sarà necessario modificare la legge in un secondo tempo. Perché opporsi già ora che l’emissione e l’utilizzo saranno gratuiti e facoltativi?
Opporsi ora è prudenziale. Gratuità non significa costo zero: l’infrastruttura è pagata dai contribuenti e genera spese ricorrenti; se il progetto non è proporzionato, conviene correggerlo prima di consolidarlo. Facoltatività oggi può diventare “obbligo di fatto” domani: se l’Id-e diventa la corsia veloce per sanità, pratiche amministrative e altro, chi non la usa resta indietro o può dover pagare emolumenti supplementari (v. Posta per chi paga allo sportello); o obbligo mediante una semplice modifica della legge, il che costringerebbe a un nuovo referendum costoso. L’Id-e sarà comunque necessaria per accedere al dossier elettronico del paziente e al registro per opporsi alla donazione di organi. Le garanzie cruciali vanno fissate prima dell’entrata in vigore della legge. Pertanto, un NO ora può servire a ottenere un’Id-e davvero facoltativa, proporzionata e rispettosa della vita offline.

Opporsi a un’Id-e gestita dallo Stato non apre la porta a identificazioni elettroniche alternative offerte da grandi gruppi tecnologici esteri?
La coesistenza con identità elettroniche private è già prevista dalla stessa legge. L’obbligo di accettare l’Id-e vale solo per autorità e soggetti con compiti pubblici quando usano l’identificazione elettronica; tuttavia, la legge contempla esplicitamente attori privati: il registro di fiducia può confermare gli identificativi di emittenti e verificatori privati (art. 3 cpv. 4), chiunque può emettere mezzi di autenticazione usando l’infrastruttura (art. 4) e il Consiglio federale può riconoscere le applicazioni di offerenti privati e autorizzarne l’utilizzo per la conservazione e la presentazione di Id-e (art. 17 cpv. 4). Per la verifica di tutti i profili sui social media in futuro, non appena entrerà in vigore la regolamentazione delle piattaforme attualmente in fase di elaborazione, l’Id-e sarà necessaria. Infine, per “altri mezzi di identificazione” si intendono prove elettroniche emesse da diversi soggetti, pubblici o privati seppur integrate nella stessa infrastruttura statale di verifica e fiducia. Dunque, l’idea che “se si respinge l’Id-e statale si apre la porta a Big Tech” è fuorviante: quella porta è già aperta!